La pandemia innescata dalla diffusione del SARS-CoV-2 ha acceso i riflettori sui crescenti rischi alla salute pubblica posti dalle zoonosi emergenti. Non solo, ma l’Unione Europea dovrà far tesoro delle “lezioni” sulla biodifesa dall’emergenza pandemica attuale per mettersi nelle condizioni di disporre di dati in tempo reale e affidabili relativi ad outbreak significativi in Paesi terzi, anche nell’eventualità in cui non siano immediatamente fruibili indicazioni dall’OMS (almeno finché questa non si doterà di meccanismi appropriati e dell’autorità per portare avanti indagini in modo indipendente all’interno dei Paesi membri).
Un nuovo approccio per la sicurezza nazionale
Un esempio è l’informazione tardiva riguardante la trasmissione interumana del nuovo coronavirus, un precedente che dovrebbe spingere verso nuovi approcci che tengano conto del potenziale di minaccia alla continuità delle attività produttive e alla sicurezza nazionale di patogeni nuovi o emergenti. La necessità di transitare in questa fase storica verso un modello di Biodifesa si spiega anche con l’espansione del know-how disponibile e con l’incremento del numero di laboratori e dei relativi equipaggiamenti che verosimilmente comporterà lo sforzo globale volto a produrre trattamenti e vaccini contro il SARS-CoV-2.
Questo con il rischio conseguente che tecnologie a duplice uso possano diventare maggiormente accessibili ad una platea più ampia di attori, compresi coloro che possono essere mossi da progettualità ostili. La centralità della resilienza a shock strategici, di entità tale come quella dell’evento pandemico attuale, è stata peraltro confermata dal ruolo di primo piano delle forze armate nella risposta dei singoli Paesi alla crisi.
La biodifesa contro minacce emergenti
Contributo che non è rimasto circoscritto al supporto in termini di comando e controllo, rimpatrio di cittadini dall’estero, logistica, fornitura di capacità della sanità militare ai servizi sanitari nazionali sovraccarichi e disinfezione di spazi pubblici, ma si è esteso fino alla direzione e gestione della campagna di immunizzazione. Appare quindi imprescindibile l’apporto strategico che potrebbe assicurare la Difesa nell’ambito di un’architettura nazionale di sorveglianza integrata e prevenzione delle future minacce biologiche emergenti, siano esse di origine naturale oppure il risultato di atti incidentali o intenzionali.
Il progresso tecnologico e il fenomeno della convergenza fra tecnologie disruptive permettono oggi di raggiungere tale ambizioso obiettivo. Attraverso l’utilizzo di algoritmi di machine learning, deep learning e reti neurali, a partire dai dati ricavati da una piattaforma nano-biosensoristica, unitamente ad un sistema sensoristico capace di apprendimento, sarebbe possibile ottenere un sistema efficace di previsione e prevenzione di future pandemie causate da agenti zoonotici, nonché di atti di bioterrorismo che possono impattare sulla salute pubblica ma anche sulla filiera agroalimentare (per quanto concerne minacce di tipo fitosanitario).
Nello specifico, il ricorso a tecniche di nuova generazione (ad esempio, del tipo CRISPR), oltre che a nano-biosensori, faciliterà in modo realistico la realizzazione di dispositivi utili ad innovare i sistemi di sorveglianza fino allo sviluppo di sensori indossabili (wearable), anche di interesse per un impiego nell’ambito della Difesa. L’azienda RAIT88, Hub strategico e sistemico per la Difesa e la NATO, sta avviando diversi progetti per permettere al Sistema Paese di dotarsi di un dispositivo tecnologico di biodifesa tale da metterlo nelle condizioni ottimali per raccogliere tale sfida. A questo scopo, la RAIT88 ha concluso di recente un accordo di collaborazione nel campo della biosicurezza con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise di Teramo.
Questo articolo è apparso su RID – Rivista Italiana Difesa